Lo scorso 12 Maggio 2016, la Seconda Sezione della Corte di Cassazione ha depositato la sentenza
n° 9772, con cui ha affrontato uno dei temi che più hanno appassionato i cultori di quello che viene
definito “Processo civile
telematico”:
ovvero
la validità del deposito
telematico degli
atti introduttivi effettuato prima dell’entrata in vigore del DL 83/2015 (che, dal 27/06/2015 avanti ai
Tribunali e dal 30/06/2015 avanti alle Corti d’Appello, ha previsto la facoltatività del deposito di tutti gli atti diversi da quelli indicati nel comma 1 dell’art. 16Bis del DL 179/2012).
Problema particolarmente importante per le conseguenze riconnesse alla soluzione ad esso data, come nella fattispecie esaminata dalla Corte, nella quale era stata dichiarata l’inammissibilità del deposito telematico di un
atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo.
Il Tribunale di Bergamo, infatti, aveva emesso la pronuncia in data 20/01/2015, in relazione ad
una iscrizione a ruolo effettuata il 22/12/2014, quindi nel periodo in cui era obbligatorio il deposito telematico degli atti endoprocessuali nei giudizi introdotti dopo il 30/06/2014 e la disciplina del
deposito degli atti diversi era ricavata dalla esistenza (e dal contenuto) del decreto emesso dalla DGSIA (Direzione Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati) ai
sensi dell’art.
35
DM.
44/2011.
Ed il Tribunale
di Bergamo aveva motivato la decisione proprio sulla circostanza che, pur essendo
stato attivata anche prima del 30/06/2014 la facoltà di deposito telematico ex art. 35 DM 44/2011,
tale provvedimento autorizzativo non contemplava fra gli atti depositabili, l’atto di citazione in
opposizione a decreto ingiuntivo.
Precedenti, simili decisioni erano già state oggetto di critica (Maurizio Reale: Deposito telematico
può riguardare solo gli atti individuati da decreto ministeriale, in Altalex 07/07/2014; Francesco
tecnologia del 18/07/2014; Luca Lucenti: Costituzione telematica
nel PCT (e non solo): non scherziamo col fuoco, in Ragionando_weblog, in
tre parti
del
11/09/2014, 22/09/2014
e
17/10/2014),
evidenziando come nessuna norma conferisse alla DGSIA il potere di determinare le tipologie di atti depositabili telematicamente, avendo il compito esclusivamente di accertare
l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei
servizi di comunicazione dei documenti informatici dei singoli uffici.
Ebbene la Corte,
pur
rigettando il
ricorso (perché proposto ex art.
111
Cost, contro un provvedimento che avrebbe dovuto essere appellato, avendo contenuto sostanziale di sentenza anche
se forma di decreto), ritenendo la questione di particolare
importanza,
ha pronunciato il
seguente principio di diritto, ex art. 363 3° comma, cpc: “In tema di processo civile telematico, nei procedimenti
contenziosi dinanzi ai tribunali
dal 30/06/2014, nella disciplina dell’art. 16Bis del dl n° 179/2012 …, anteriormente alle modifiche apportate dal dl n° 83/2015 (che con l’art. 19, comma 1, lettera a, n. 1, vi ha aggiunto il comma 1 bis), il deposito per via telematica, anziché con
modalità cartacea, dell’atto introduttivo del giudizio, ivi compreso l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore, ma ad una mera
irregolarità, sicché ogniqualvolta l’atto sia stato inserito nei registri informatizzati dell’ufficio giudiziario previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna
da parte del gestore di posta elettronica certificata del
Ministero della Giustizia, deve
ritenersi integrato il raggiungimento dello
scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e della messa a disposizione
delle
altre parti”.
Non
può che salutarsi con favore una simile decisione,
sia
per la presa di coscienza della rilevanza
delle problematiche che afferiscono all’uso degli strumenti dell'informazione e della
comunicazione
nel processo civile, sia per la soluzione concreta data alla fattispecie.
Grazie alle
puntuali argomentazioni addotte dallo sfortunato ricorrente, la Corte ha avuto il modo di
affermare, in primo luogo, il principio per cui dalla regola dell’esclusività del deposito telematico
per gli atti endoprocessuali (art. 16,
1° comma, DL 179/2012),
non può ricavarsi quella, opposta, del divieto del deposito telematico per gli atti introduttivi.
Principio che riceve ulteriore conforto dalla disciplina codicistica delle nullità e dal principio della
strumentalità delle forme, che non sono prescritte per la “realizzazione di un valore in sé o per il perseguimento
di un fine proprio ed autonomo”; di tal che, la deviazione
dallo schema legale deve essere valutata come mera irregolarità, ogniqualvolta l’attività deviante abbia conseguito lo stesso scopo che si sarebbe ottenuto con il rispetto delle forme prescritte (richiamando la nota Cass. SSUU
04/03/2009, n° 5160, in tema di deposito a mezzo del servizio postale).
Interessante, poi, il passaggio ove la Corte rileva come l’ipotesi di costituzione telematica fosse già
stata prevista dal legislatore che, con L. 18/06/2009, n° 69, aveva
appositamente modificato l’art. 83
cpc, proprio per disciplinare
le
forme del rilascio della procura al difensore che si costituisce
attraverso strumenti telematici (recependo i principi espressi da Trib. Milano ord. 30/01/2008, su
cui: Maurizio
Sala, Processo telematico: primi
problemi e prime soluzioni, in
http://www.sala.it/ù service/getrisorsa.php?risorsa=15).
Finalmente,
poi, la Corte precisa il ruolo e la funzione dell’art. 35 DM 44/2011, sposando l’interpretazione di cui alla dottrina sopra citata ed affermando che “non rientra -nell’ambito dei compiti del provvedimento DGSIA (nda) – l’individuazione, …,
del novero degli atti depositabili
telematicamente, la quale discende da normativa primaria”.
* *** *
Pur
accogliendo la decisione in questione
con indubbio e convinto favore, è necessario evidenziare alcuni aspetti che meritano una diversa valutazione.
1)
Se,
da un lato, è indubitabile la presa d’atto, da parte della Corte, della rilevanza della disciplina che
passa sotto il nome di “Processo civile telematico”, dall’altro, si ha la sensazione che se ne continui a parlare come di un fenomeno a sé, avulso o, quanto meno, a margine, del sistema
processuale.
Il
fatto stesso che il principio di diritto affermato esordisca
con la frase “In tema di processo
civile telematico, ...”, acuisce questa sensazione di separatezza, come se il processo
civile telematico debba
essere qualche cosa di diverso dal processo
civile, come se il sistema procedimentale
che lo
caratterizza possa essere scisso in due o più fenomeni: da una parte il processo civile telematico e dall’altra …., già, cosa c’è dall’altra, se non l’utilizzo degli strumenti dell’informazione e della comunicazione, obbligatoriamente richiesto per le parti già costituite? E facoltativamente concesso anche in fase di costituzione,
sì da
avere da subito un fascicolo ed un processo completamente
digitalizzato? Ad oggi solo avanti agli uffici del giudice di pace ed in Corte di Cassazione l’uso di questi strumenti è limitato alla consultazione
e (dal 15 Febbraio 2016, in Cassazione)
ed alle
comunicazioni. Ma il processo di digitalizzazione raggiungerà presto anche questi uffici giudiziari, completando un cammino iniziato, quanto meno (ma si veda la dettagliata analisi della normativa compiuta da Luca Lucenti), 15
anni or sono con il DPR 123/2001.-
Va bene, quindi, parlare di Processo
civile telematico
(o anche PCT) nelle cronache, negli eventi e
nei colloqui, ma ufficializzare una simile definizione a livello di giurisprudenza e (soprattutto) nei
testi legislativi (come si legge nel DL 53/2015 e nel disegno di legge delega per la riforma del processo civile), appare un evidente errore,
frutto della difficoltà ancora diffusa di cambiare la
mentalità:
l’informatica e la telematica
fanno parte del processo
civile, sono il processo
civile, e la riscrittura del codice di procedura, se proprio si deve fare, dovrebbe recepire le norme sull’uso di
questi strumenti, senza relegarle in un testo unico, che non farebbe altro che protrarre un simile
equivoco.
2)
Altro aspetto di perplessità è la limitazione temporale della portata della pronuncia, che
prende in considerazione i procedimenti
contenziosi iniziati dopo il 30/06/2014, data di entrata in vigore del DL 90/2014, che ha scandito i termini ed i tempi dell’obbligatorietà (esclusività) del deposito in forma telematica. Vero è che l’art. 16 bis del DL 179/2012 (introdotto dal DL 90) rappresenta un
termine di paragone insostituibile nel confronto fra obbligatorietà e facoltatività, ma è anche vero che
i problemi posti dall’estensione
della portata precettiva dell’art. 35 DM 44/2011 si erano presentati già prima di quella data e che il principio affermato ora dalla Corte ben avrebbe potuto adattarsi anche a situazioni precedenti, contribuendo a sanarle e a consentire la definizione di eventuali contenziosi
in atto
aventi
ad
oggetto provvedimenti come quello
del
Tribunale
di
Bergamo. Per cui, vista la precisione ed il dettaglio con cui è stata limitata la portata temporale
del principio, c’è da chiedersi se lo stesso sia applicabile
a fattispecie che non rientrano in quell’arco
temporale.
Questa osservazione dà modo di rilevare come un legislatore più attento e padrone della disciplina su cui interviene, avrebbe ben potuto (e dovuto) in sede di DL 83/2015 o di legge di conversione,
una volta decisa la regola della facoltatività del deposito telematico degli atti
diversi da quelli di cui all’art. 16Bis, comma 1, DL 179/2012, emanare una norma che sancisse la salvezza degli effetti dei depositi telematici eseguiti in forza (o in assenza) dei vari decreti emessi ex art. 35 DM 44/2011 dalla DGSIA, anticipando
il
principio che si sta commentando ed evitando situazioni
come quella subita dal collega che ha proposto il ricorso che ha meritoriamente (ma in modo beffardamente inutile per la sua posizione) consentito alla Corte di emettere la decisione ex art. 363, 3° comma,
cpc.
3)
Da
ultimo, c’è un passaggio della motivazione
e dello stesso principio di diritto affermato, che
rischia di creare
un ulteriore equivoco.
Si
tratta del passaggio in cui si fa riferimento alla “previa generazione della ricevuta di avvenuta
consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, ex art.
16bis, comma 7, DL179/2012”.
Ben venga il richiamo a questa norma se serve a ribadire che i riferimenti temporali
contenuti in questa ricevuta sono
quelli opponibili ai fini della tempestività del deposito e del rispetto dei termini (salvi i problemi della 3^
pec dei controlli automatici, su cui si rinvia al precedente articolo sul blog,
ma
su cui si vedano le acute e pertinenti osservazioni di
Pietro Calorio: Errori materiali, rifiuto del
deposito telematico e rimessioni in termini: una ricostruzione critica alla luce della prima
giurisprudenza di merito, in Altalex del 30.05.2016); appare, invece, errato sotto il profilo tecnico e strutturale (avuto, cioè, riguardo
al profilo strutturale dell’architettura
hardware e software che sovrintende al deposito telematico) se,
come sembra dalla consecuzione dei periodi, volesse intendere che l’inserimento dell’atto nei registri informatizzati avvenga con la generazione di questa
ricevuta, da parte del gestore PEC del Ministero.
In
realtà, l’inserimento dell’atto nel fascicolo informatico (e non nei registri, dove viene annotato l’evento) avviene solo all’esito dell’apertura della busta da parte del cancelliere e solo se il file xml che correda l’atto (art. 11 DM 44/2011 e 12 specifiche tecniche DGSIA del 16/04/2014) è stato
correttamente compilato.
Ed,
in effetti, avendo riguardo
alla struttura di cui sopra, il gestore PEC del Ministero (art. 4 DM
44/2011), per il fatto di appartenere al Dominio Giustizia (art. 2, lett. a, e art. 3, DM 44/2011), giustifica e colloca temporalmente
(con la generazione della ricevuta di consegna)
la presa di contatto fra
il soggetto abilitato esterno (art. 2, lett. m, lett.
2, 3
e 4) ed il “mondo giustizia”, ma
non con l’ufficio giudiziario destinatario del deposito e con il relativo registro (e fascicolo)
informatizzato.
Il
gestore PEC, infatti, invia la busta al Gestore dei Servizi Telematici (art. 2, lett. d) e art. 5, DM
44/2011) che, dopo aver controllato l’iscrizione al ReGIndE (art. 7, DM 44/2011) del firmatario
della stessa, inoltra il file all’ufficio giudiziario
di destinazione,
ove il personale di cancelleria
provvederà all’apertura della busta, accettando il deposito e consentendo la collocazione degli atti e
dei documenti nel fascicolo e la creazione del relativo evento nei registri di cancelleria. Tutto ciò è
documentato, per il mittente,
con la ricezione della 4^ PEC, nella cui attesa può manifestarsi quello
stato psico-patologico che va sotto la definizione di “sindrome della 4^
PEC”.
Per
concludere, una cosa è la presa
di contatto della parte con il dominio giustizia (generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore PEC del Ministero di cui all’art. 16Bis, comma 7, DL
179/2012); altra cosa è l’inserimento dell’atto nel fascicolo e la relativa annotazione
nei registri, che attiene ad un momento temporale e ad un’attività
successivi e che richiedono l’intervento del personale di cancelleria.
In
conclusione, sembra che il riferimento alla ricevuta di accettazione avrebbe ben potuto essere
evitato, non apparendo funzionale alla tenuta del principio affermato ed essendo
inevitabilmente,
logicamente e
tecnicamente precedente l’inserimento dell’atto nel fascicolo informatico e la relativa
annotazione nei registri.
Perugia, 15 Maggio 2016
Avv. Stefano Bogini
Revisione del 06
Giugno 2016