Per un nuovo
concetto di atto del processo
Con un recente provvedimento (Ordinanza 12/04/2016, in www.ilcaso.it) il
Tribunale di Torino ha ribadito la propria posizione, già espressa con ordinanza del
11/06/2015,
che nega la remissione in termini in caso di deposito di una memoria, che venga
rifiutata dal cancelliere per errore nell’indicazione del numero di ruolo.
In senso inverso si era, invece, pronunciato il Tribunale di
Pescara, con ordinanza del
02/10/2015.
Mentre per il Tribunale di Torino la remissione in termini
può essere concessa solo ove l’errore di deposito non sia imputabile alla
parte, oppure quando il cancelliere abbia tardivamente lavorato il deposito, in
assenza di anomalie dei controlli automatici capaci di mettere in allarme il
depositante; per il Tribunale di Pescara la rimessione può concedersi
ogniqualvolta l’errore della parte sia tale che, se fosse stato fatto con
deposito analogico, il cancelliere avrebbe potuto agevolmente rilevarlo e porvi
rimedio. Non è possibile, si argomenta, che, a causa di quello che viene
evidenziato come un difetto del sistema informatico (cioè l’incapacità di
segnalare un mero errore materiale), il soggetto che compie tale errore sia
sanzionato con una decadenza processuale.
Il problema è estremamente rilevante, per le conseguenze che
ne possono derivare, ed è evidente come le pronunce difformi si muovano su
piani completamente diversi: di ragionamento in puro diritto, quelle di Torino
e di interpretazione di buon senso quella di Pescara.
Le ordinanze che hanno negato la rimessione partono
dall’analisi delle norme contenute nelle regole e nelle specifiche tecniche di
cui al DM 44/2011 e al provvedimento DGSIA 16/04/2014 che, nei limiti in cui
disciplinano gli aspetti tecnici ad esse demandate dall’art. 4 del DL 193/2009,
assumono la stessa efficacia della norma primaria da cui derivano.
In questo ambito, le norme disciplinano l’atto di parte
soggetto a deposito in via telematica, dandone una definizione complessa,
connessa alla sua natura di documento informatico destinato ad un preciso scopo
(e percorso telematico).
Dagli artt. 11 del DM 44/2011 e 12 del provvedimento DGSIA,
emerge che “L’atto del processo in forma di documento informatico” deve
rispettare determinati requisiti, fra i quali il formato (PDF testuale) e,
oltre altri, essere corredato da un fie xml, che contiene le informazioni
strutturate idonee a collocare l'atto stesso nel fascicolo informatico cui si
riferisce.
Il file xml, cioè, diventa elemento caratterizzante la natura
stessa del documento informatico come atto del processo e la sua assenza o la
sua errata compilazione (dovendo contenere le informazioni strutturate utili
alla sua corretta collocazione e conservazione) ne determinano l’inidoneità ad
essere considerato “atto del processo”, in relazione al fascicolo a cui si
riferisce.
Sembra, allora, che possa ben sostenersi che l’atto del
processo in forma di documento informatico assuma una natura composita, che ne
arricchisce la funzione: non più solo mezzo per veicolare un contenuto
giuridicamente rilevante, ma anche strumento di corretta digitalizzazione del
fascicolo informatico.
D’altra parte la corretta gestione del fascicolo è compito
proprio dell’avvocato, e, in epoca informatica, non può essere considerata
estranea all’attività professionale l’idonea formazione dei documenti
informatici, così come il dotarsi di strumenti informatici tali da garantire la
continuità e la sicurezza dell'accesso agli stessi (ogni possibile riferimento
ai recenti problemi dei distretti siciliani è assolutamente voluto).
Ulteriore conseguenza della descritta natura dell'atto
processuale informatico è che tanto la sua formazione, come il suo deposito
sono espressione di una medesima attività volitiva del soggetto che è chiamato
a sottoscrivere non solo l'atto, ma anche il file xml. Ecco, allora, che anche
il deposito non è più attività delegabile a terzi, priva di contenuto volitivo
autonomo, come affermato da Cass.SS UU
04/03/2009 in relazione al deposito “a mezzo posta”. La necessità,
prevista dalle regole e specifiche tecniche (che, si ribadisce, disciplinando
un aspetto tecnico della materia -e, quindi, in materia di competenza del
ministro o di autorità ad esso sottordinata- hanno valenza di integrazione
della norma primaria), di sottoscrivere digitalmente il file utile per la
corretta acquisizione nel fascicolo informatico dell'atto del processo come
documento informatico, conferisce all'invio/deposito telematico la valenza di
un'attività non più solo materiale (delegabile al personale di segreteria o al
servizio postale), ma propria del soggetto abilitato esterno che se ne assume
la paternità, in uno con il contenuto dell'atto del processo che ha formato.
Come affermato, ad altri fini, dal Tribunale di Vasto con la
sentenza del 15/04/2016 (in www.lanuovaproceduracivile.it),
queste peculiarità del deposito telematico si riverberano anche sulla forma
dell'atto processuale, sulla sua creazione e, ancor di più, sulla sua stessa
essenza, dando vita ad uno schema legale tipico che racchiude in un unicum
contenuti giuridico argomentativi ed elementi utili alla sua corretta veicolazione
in funzione della conoscenza dell'atto da parte del giudice e del rispetto del
principio del contraddittorio.
Ecco, allora, che anche l'errore materiale nella indicazione
del numero di ruolo del fascicolo assume una valenza del tutto peculiare, forse
eccessivamente condizionante, ma fondamentale nella produzione dell'atto del
processo come documento informatico, tanto più ove si consideri
l'obbligatorietà del deposito di quelli c.d. “endoprocessuali”, in cui tale
indicazione (che confluisce come elemento del file xml) assume la natura di
dato strutturale ineliminabile per il raggiungimento dello scopo sotteso al
deposito.
Se, da un lato, questa rilevanza di un errore materiale (che
giustifica le pronunce del Tribunale di Torino) può apparire eccessivamente
punitiva, dall'altro obbliga tutti i soggetti abilitati esterni a rendersi
conto che è tempo di ragionare nei termini sopra descritti: essere fra questi
soggetti impone un cambio di mentalità, passare da categorie concettuali
analogiche a quelle digitali. E' vero che l'atto del processo conta e vale per
i suoi contenuti giuridici, ma nel momento in cui lo stesso diventa documento
informatico, il soggetto deve saper fare i conti anche con il file xml e le
informazioni strutturate che con lo stesso veicola. E' un po' come ai tempi
dell'utilizzo dei fogli uso bollo, che dovevano avere un certo numero di righe
ed avere una forma specifica ai fini dell'applicazione della relativa tassa (e
anche oggi se si va a registrare un contratto, i bolli vengono applicati in
base alle righe di ciascuna pagina).
L'importanza del file xml e la sua leggibilità (capacità che
devono sviluppare i soggetti abilitati esterni) è mirabilmente illustrata in un
recente studio pubblicato nel sito della FIIF
(Fondazione Italiana per l'Innovazione Forense, presso il CNF),, ove si
analizza una decisione del Tribunale di
Napoli, che si muove su un piano di ragionamento logico giuridico
analogo a quello delle pronunce del Tribunale di Torino: l'errore materiale
nell'indicazione del numero di ruolo è imputabile al soggetto che deposita, il
quale, con un esame del messaggio di allarme dei controlli automatici (la terza
PEC) ha la possibilità, quasi immediata, di verificare la natura dell'errore
commesso nella indicazione dei dati rilevanti per la generazione del file
strutturato xml.
Ed è proprio questo il denominatore che accomuna le due
pronunce: la possibilità del depositante di avvedersi dell'errore in tempi
utili per effettuare un nuovo deposito tempestivo, previa correzione del dato
sbagliato.
Oltre che con l'attenzione nella compilazione dei vari quadri
in sede di composizione della busta telematica e con la capacità di leggere ed
interpretare i messaggi conseguenti al deposito (che deve necessariamente essere
acquisita, così come la modernità ci ha “imposto” di saper guidare
un'automobile), simili errori possono (e debbono, a questo stato
dell'evoluzione) essere evitati semplicemente dotandosi di strumenti che, pur
comportando un minimo esborso annuale (come le rassegne di giurisprudenza,
un'aggiornata biblioteca, il dotarsi di smartphone e tablet dell'ultima
generazione/moda), consentono di acquisire direttamente i fascicoli informatici
attraverso il Polisweb ed associare il deposito a quel fascicolo, già
individuato e contenente le informazioni strutturate (ufficio giudiziario,
numero di ruolo, registro, materia ed oggetto) con cui è univocamente (e
correttamente?) conservato il fascicolo nei sistemi ministeriali che compongono
il dominio giustizia.
GenIus è uno di questi sistemi: grazie al riconoscimento di
Astalegale.net S.p.A. come punto di accesso, l'applicativo ha la possibilità di
offrire, ed offre, servizi di consultazione, importazione e aggiornamento dei
fascicoli dalle cancellerie informatiche.
Una volta importato nel sistema il fascicolo in cui deve
essere eseguito il deposito, l'utente potrà limitarsi ad andare direttamente
nella scheda dei depositi, ignorando quelle relative ai dati generali, alle
parti ed ai difensori, che risulteranno già popolate con le informazioni
acquisite (o inserite) dalla cancelleria in sede di iscrizione a ruolo.
Sarà sufficiente caricare l'atto processuale da depositare,
gli eventuali allegati e sottoscrivere digitalmente l'atto principale ed il
file xml che contribuisce a comporlo e procedere all'invio della relativa PEC.
In questo modo ogni errore di digitazione dei dati rilevanti
nella creazione del file xml verrà evitato ed eventuali problemi tecnici
evidenziati dai controlli automatici saranno da attribuire ad altre evenienze,
magari veramente non attribuibili al soggetto abilitato esterno.